Storia

Storia

In breve…

  • Modesto approvvigionamento locale prima del Mille: le antiche popolazioni di Celti e Walser che avevano percorso e abitato la Valle Onsernone prima del Mille sfruttarono la foresta in modo modesto per proprio uso (costruzioni in legno e riscaldamento).
  • Sfruttamento intenso fino alla fine del XIX Secolo: dopo il Mille il bosco fu sfruttato in modo molto intenso, generalmente con estesi tagli rasi, da ultimo nella seconda metà del XIX Secolo. Il legname veniva trasportato via fiume attraverso ondate artificiali di piena che provocarono fino al 1876 gravi danni ad argini e coltivi e alla stabilità dei pendii. Nel XX Secolo vi furono solo ancora tagli leggeri.
  • Evoluzione spontanea nei prossimi decenni: con l’istituzione della riserva il bosco potrà fruire di uno sviluppo spontaneo, senza tagli per almeno 50 anni, su certe parcelle per cento anni. Toccherà quindi alle generazioni future stabilire se quest’evoluzione naturale potrà proseguire ulteriormente per garantire al bosco quei cicli naturali che richiedono secoli.

Dalla preistoria alla presenza celtica

L’alta Valle Onsernone è abitata o è stata percorsa dagli uomini sin dalla notte dei tempi come mostrano i segni cupellari al Monte Ligünc sopra Comologno. In seguito Celti e Walser utilizzarono questi luoghi per le loro transumanze e la caccia e vi istallarono residenze più o meno fisse. Vestigia di queste antiche presenze sono il piedestallo della croce sul sagrato di Comologno, i recinti in pietra presso l’Alpe Salei e diversi toponimi come Ligünc e Tabid.

Un millennio di sfruttamento

Le prime testimonianze sicure sui boschi ci indicano che essi erano appartenuti alle famiglie più influenti di Locarno. A partire dal Mille i Comuni di Valle e le chiese cominciarono ad acquistare i territori boschivi e bonificabili. Oltre alla legna d’ardere, il bosco forniva il legname per le costruzioni e l’artigianato (opifici e concerie) del Locarnese e del bacino del Verbano. 

Il bosco veniva tagliato raso e il legname portato al fiume sia direttamente che attraverso le soende (appositi canali). Nei luoghi di raccolta, il fiume veniva sbarrato con “serre” di tronchi, poi il legname veniva affidato alle piene naturali o provocate dall’apertura delle serre che lo portavano al lago. Dannosi per argini e coltivi, questi trasporti cessarono solo con l’applicazione della Legge federale sulla polizia forestale del 1876. Il Patriziato Generale d’Onsernone continuò a tagliare legna da ardere e legname d’opera (larice, abete rosso e bianco) per le case dei patrizi fin verso metà del Novecento, poi li sospese. L’ultimo, modesto taglio fu deficitario e risale al 1988: gli obiettivi di sfruttamento si erano ormai rivelati irraggiungibili per motivi economici. 

Oltre che per l’approvvigionamento di legname il territorio della Riserva serviva al pascolo del bestiame minuto (capre e pecore), all’alpeggio e alla raccolta del fieno da bosco. Ancor oggi si possono scorgere numerose testimonianze della vita di fatiche dei nostri antenati, costretti a utilizzare anche le zone più discoste e impervie per il proprio sostentamento. Altre testimonianze come le carbonere sopravvivono negli archivi e nei ricordi dei vecchi e sono in parte ancora leggibili nel paesaggio.

Mezzo secolo di libertà

Dopo un millennio di taglio del bosco, in parte anche eccessivo, la nostra comunità onsernonese, con l’aiuto del Cantone, della Confederazione e di Pro Natura, ha deciso di concedere a questa foresta mezzo secolo, per alcune parcelle un secolo, di sviluppo spontaneo: un tempo lungo per noi che però è breve se lo si misura alla vita di un albero e alla durata dei cicli naturali della foresta. I larici più vecchi della Riserva hanno davanti a sé ancora almeno otto secoli di vita!

L’ingegno dei carbonai

Come fare per ridurre le quantità e quindi le fatiche e i rischi del trasporto della legna? Un sistema ingegnoso e diffuso anche nell’attuale Riserva fino alla Seconda Guerra mondiale, era la trasformazione sul posto della legna in carbonella. Essa richiedeva una tecnica complicata e lunga, tramandata di generazione in generazione. Si utilizzava legna verde, spaccata in modo da ottenere pezzi di dimensioni analoghe, che poi si accatastavano con cura a formare dei cumuli cuneiformi molto ordinati, i poiatt. In seguito si ricoprivano i cumuli con terra per renderli ermetici, di modo che il fuoco potesse bruciare lentamente al loro interno. Il processo di carbonizzazione durava almeno una settimana e richiedeva un’attenta sorveglianza, poi si smantellava il tutto e si procedeva alla scelta, all’insaccamento e al trasporto a valle del prodotto. 


Il “Guald” di fronte a Comologno come era nel 1928… e, sorvolandolo con il mouse, come è oggi.

Fili a sbalzo con anima in canapa

Prima dell’impiego dei fili a sbalzo, iniziato nel primo quarto del Novecento, la legna veniva trasportata a spalla. La posa di queste funi metalliche, richiedeva molto tempo, abilità e forza e non pose fine alle fatiche poiché si doveva comunque trasportare la legna dal luogo del taglio alla fune; poi si appendevano i tronchi ai fili con forcelle o carrucole in legno e li si faceva slittare per gravità dall’altra parte della valle. A seconda della robustezza e della lunghezza necessarie, le funi utilizzate erano costituite da fili d’acciaio intrecciati attorno a un’anima di canapa oppure da una fune di solo acciaio detto burcion specialmente per le tratte secondarie. Il loro uso era pericoloso e fonte di incidenti anche gravi.